La Russia in Siria

L’intervento militare russo in Siria ha portato importanti tornaconti politici al Cremlino, sia esteri, che nazionali.
Mosca ha dimostrato d’essere preparata ad inviare la forza militare ben oltre il suo vicinato; ha complicato in Siria la missione militare degli Stati Uniti e della coalizione dei loro alleati e, incrementando il flusso degli emigrati, ha aumentato la pressione sull’Europa; ha reso la Russia un giocatore geopolitico in Medio Oriente; ha contribuito a creare difficoltà e tensioni della Turchia con i membri della NATO; infine, ha contribuito a consolidare la popolarità di Putin in casa.

Ma, con la possibile eccezione del riorientamento geopolitico della Turchia, questi benefici probabilmente si dimostreranno temporanei: la guerra siriana è stata devastante e la Russia è su una poltrona molto debole, instabile e impoverita, ma di più, lontana dai suoi interessi cor-euro-azionali.
La guerra è arrivata a oltre 400.000 morti, 6.3 milioni di sfollati interni e 5 milioni di rifugiati nei paesi limitrofi; gran parte di Aleppo, Homs, Hama e parti di Damasco sono state distrutte, e Raqqa, probabilmente subirà un destino simile nei prossimi mesi. Damasco ha perso il controllo della maggior parte del nord-est del paese, dove è concentrata la produzione agricola della Siria, così come la maggior parte dei campi di petrolio e gas nella valle dell’Eufrate.
L’intervento russo ha mantenuto lo status del cliente; ma la Siria ora è una situazione molto debole e precaria e, quando finirà la guerra, avrà bisogno di un grande sostegno militare ed economico che, purtroppo, non accadrà molto presto, nonostante gli sforzi russi e quelli di qualsiasi altra autorità esterna che si sta adoperando per organizzare un accordo politico. Le linee di controllo tra i numerosi combattenti sono molto confuse, ciò rende improbabile un qualsiasi cessate il fuoco generale, mentre con i molti gruppi jihadisti e i ribelli filo-jihadisti, non c’è nessuna prospettiva di una pace.
Inoltre, nonostante i suoi guadagni territoriali, la posizione militare di Damasco rimane precaria: ha gravi problemi di “manodopera”; non esiste una ferma catena di comando per i suoi vari elementi e gli iraniani, Hezbollah e gli altri combattenti alleati non rispondono ad Assad, e mentre nel corso dell’ultimo anno c’è stato un certo consolidamento tra le forze ribelli, esse restano sempre più sfavorite e dominate dai gruppi jihadisti. Infine, i poteri esterni – compresi gli Stati Uniti, i suoi alleati degli Stati europei e del Golfo e, in effetti, la Turchia – è improbabile che possano sostenere un accordo politico che sia anche accettabile da Damasco, Mosca e Teheran: ciò significa che per il prossimo futuro le armi continueranno a scorrere in Siria.
Nonostante tutto questo, non esiste quasi nessuna possibilità che il Cremlino, prima delle elezioni presidenziali del marzo 2018, prenda in considerazione un cambiamento di corso in Siria; ma a quel punto, tuttavia, Putin e i suoi consiglieri potrebbero cominciare a chiedersi se i costi delle operazioni militari in Siria non stiano superando a lungo termine i vantaggi. I costi sono già significativi. L’intervento ha reso ancor più difficile l’avvicinamento con l’Occidente e ha messo Assad, grazie ai suoi attacchi con le armi chimiche di massa, in grado di “derubare” un possibile “reset” Trump-Putin; ha anche alzato la gerarchia russa nella lista dei nemici dei jihadisti sunniti ed ha portato molti sunniti moderati a concludere che la Russia è dalla parte dell’Iran e dei suoi alleati sciiti. L’intervento, se proseguirà, comporterà altri rischi per Putin.

In particolare, gli Stati Uniti potrebbero decidere di sfidare le forze russe in Siria. La Russia ha una preponderanza di forze lungo le sue frontiere occidentali (escludendo Kaliningrad), ma è esposta in Siria e nel Mediterraneo orientale – come hanno già chiaramente dimostrato i recenti attacchi missilistici americani. Mosca punta sui suoi sistemi di difesa aerea S-400 e S-300, ma questi sistemi non sono in grado di difendere la maggior parte del territorio, attualmente controllato da Damasco o dai suoi co-aiutanti, dai missili da crociera o dagli aerei americani di quinta generazione. Così, gli Stati Uniti, in caso di escalation, si troverebbero a dominare. Ciò significa che teoricamente Trump, ordinando attacchi americani sui beni militari siriani nel momento e nel luogo in cui lui vuole, anche a rischio di uccidere o ferire il personale militare russo o i civili, potrebbe mettere in imbarazzo politicamente Putin.
Un altro rischio russo, potrebbe arrivare se a Mosca ci dovesse essere un aumento della militanza jihadista o del terrorismo in casa: il pubblico possa iniziare già a biasimare l’intervento in Siria. Il sostegno pubblico per la guerra è già limitato: un sondaggio condotto dal Levada Center nel mese di ottobre, ha indicato che il 16% degli intervistati era “completamente positivo” e il 36% “probabilmente positivo” per le operazioni militari russe in Siria. Questo è notevolmente inferiore al sostegno di Putin (82%). Un colpo terroristico, specialmente se condotto dagli islamisti che ritornano dai campi di battaglia della Siria o dell’Iraq, potrebbe minare l’argomento del Cremlino “che è meglio combattere gli islamisti all’estero che in casa”; ma questo, a sua volta, potrebbe far perdere il sostegno all’intervento e, forse, alla fine, a Putin stesso.
Infine, la Russia in Siria ha un problema di “asimmetria di interessi”. Il paese è relativamente lontano dalla Russia e il commercio russo-siriano non è mai stato significativo. Mosca non è in grado di aiutare a ricostruire l’economia siriana, e le strutture di rifornimento russo a Tartus non sono molto importanti per le operazioni russe nel Mediterraneo – che sono di per sé limitate per gli interessi di sicurezza economica o nucleare. Infine, i russi non hanno alcuna affinità storica o culturale particolare con i siriani: gli interessi economici e di sicurezza americani, europei, iraniani e turchi in Siria sono notevolmente più grandi.
Questa asimmetria di interessi se, come previsto, l’economia russa continuerà a lottare nei prossimi anni, potrebbe rivelarsi un grave problema. Putin è ancora molto popolare, ma il governo e il suo regime non lo sono, il pubblico russo risente di ciò che vede: quindi un’élite inevitabile e avida, una corruzione ufficiale e il capitalismo di cronaca – attributi che il leader dell’opposizione Alexei Navalny ha inesorabilmente sfruttato. Il declino degli standard di vita potrebbe portare i russi a chiedersi del perché il Cremlino sia coinvolto in un conflitto lontano dalle rive della Russia e senza alcuna chiara opzione di uscita.

Navalny sta già sfruttando lo scetticismo sul ruolo della Russia in Siria, come ha fatto con chiarezza in una recente intervista con The Guardian: “Io dico loro: Ok! Così Putin sta promettendo di ricostruire Palmyra, ma perché non guardi le strade delle tue città?”.
In breve, il problema di Mosca in Siria non è diverso da quello di Washington in Afghanistan e in Iraq, anche se in misura minore. Nonostante migliaia di vite perse e trilioni di dollari spesi, ci sono ancora 8.400 truppe Usa in Afghanistan, 7.000 in Iraq e 1.000 in Siria. E in tutti e tre i teatri, nei prossimi mesi Washington ha maggiori probabilità di aumentare i numeri delle truppe, piuttosto che diminuirli; ma anche così, non c’è nessuna prospettiva per la maggior parte degli americani, di tutto ciò che possa sembrare una “vittoria”.
Quando il Cremlino comincerà a respirare dopo marzo 2018, potrebbe concludere che l’ingresso in una guerra perpetua in Medio Oriente è stato più facile che rimanerci, o uscirne.

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