Una continua provocazione

La settimana scorsa, durante una manifestazione a Eskisehir, Ergodan ha sostenuto, non rivolgendosi al suo immediato pubblico, ma alla forte diaspora turca in Europa occidentale – 4,6 milioni: “Andare a vivere nei migliori quartieri. Guidare le migliori auto. Vivere nelle migliori case. Fare non tre, ma cinque figli. Perché tu sei il futuro dell’Europa. Quella sarà la migliore risposta alle ingiustizie contro di voi”. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, ha fornito un sacco di foraggio alla frangia di persone che si sente in pericolo di islamizzazione. La minaccia è esagerata, ma è utile all’agenda politica del presidente turco per provocare parossismi d’indignazione nei leader europei.

La scorsa settimana Erdogan, dopo che la Corte di giustizia europea ha permesso ai datori di lavoro d’imporre ai loro dipendenti l’obbligo di non indossare il velo musulmano, ha accusato l’Unione europea d’aver iniziato “la guerra della croce e della mezzaluna”; ma non si è fermato lì, “La Turchia non è un paese che si può tirare da una parte all’altra, non è un paese i cui cittadini si possono utilizzare come si vuole”, ha sottolineato due giorni dopo con i giornalisti ad Ankara. Ore prima, commentando la morte di un musulmano falciato mentre camminava sul London Bridge, il presidente turco ha spiegato, “Se l’Europa continua in questo modo, nessun europeo in qualsiasi parte del mondo potrà camminare tranquillamente per le strade. L’Europa sarà danneggiata”.
I profeti dell’islamizzazione, come Giselle Littman, alias Bat Ye’or, che ha coniato il termine “Eurabia”, hanno previsto tali situazioni. Il concetto, abbracciato da alcuni politici, come l’olandese populista Geert Wilders, ruota attorno all’idea di una terza invasione dell’Europa da parte dei musulmani. Le prime due sono state armate, nel 732 e nel 1683; la terza invece, sarà furtività e si baserà sull’immigrazione e la crescita demografica. Wilders, durante un dibattito parlamentare olandese, ha paragonato gli immigrati musulmani ai “coloni”: “Loro [i musulmani] non sono venuti qui per integrarsi, ma per prenderci in consegna, per sottometterci”.
Questa è anche l’idea di base de “Il campo dei santi”, un romanzo francese pubblicato nel 1973, che ha recentemente subito una sorta di rinascita di popolarità: è uno dei libri preferiti della populista francese, Marine Le Pen, che descrive l’invasione disarmata, ma culturalmente violenta, della Francia da un “terzo mondo” di rifugiati che fanno uso della debolezza e del senso di colpa della civiltà occidentale per prenderne il sopravvento.
Anche se nelle minacce d’invasione demografica di Erdogan non c’è alcuna sostanza, si tratta anche di una cosa completamente diversa. La diaspora turca in Germania è ancora superiore alla media dei tassi di fertilità – 2,3 figli per donna, rispetto al tasso nazionale di circa 1,5 – ma a questo ritmo, i turchi non saranno realmente “il futuro della Germania”: con gli attuali 3,5 milioni, anche se Erdogan potesse in un qualche modo ispirare i suoi membri a far raddoppiare nelle loro famiglie il numero dei bambini, una nuova comunità in un paese di 80,7 milioni di abitanti ha una lunga strada per arrivare ad una maggioranza (Nella stessa Turchia, il tasso di fertilità è leggermente inferiore a quello che esiste tra i turchi tedeschi).
Inoltre, anche se nelle recenti elezioni la maggioranza degli elettori della diaspora turca in Germania e nei Paesi Bassi hanno sostenuto Erdogan e il suo partito AK, i suoi acerrimi nemici, come il partito curdo, hanno guadagnato più voti in queste comunità che in Turchia. Le diaspore sono divise politicamente: un numero considerevole di tedeschi turchi sono in Germania perché a loro non piace vivere nella Turchia di Erdogan. Erdogan non può realmente comandare gli emigrati da Ankara – è probabile che, anche se ci provasse, i turchi etnici che non lo supportano, e molti di coloro che non hanno nemmeno il diritto di voto alle elezioni turche, perché la loro lealtà primaria è ora legata ai loro paesi ospitanti europei, stiano provando solo un senso di ribellione contro di lui.
Dubito che Erdogan pensi seriamente di vedersi come un sultano che fa una strisciante invasione musulmana dell’Europa, o qualsiasi altro tipo di guerra della mezzaluna contro la croce. Egli semplicemente, in Germania, Paesi Bassi, Belgio o in uno qualsiasi degli altri paesi in cui i turchi hanno migrato da quando sono stati invitati come “lavoratori ospiti” per rilanciare le industrie distrutte dalla seconda guerra mondiale, non ha abbastanza sostenitori, anche potenziali. Ma Erdogan gode se provoca una risposta rabbiosa. Proprio come il presidente russo Vladimir Putin, dalla reazione ricava una spinta interna: l’audacia di mettere il suo naso in Germania è sufficiente per fargli sostenere un senso di orgoglio nazionale.

Le reazioni sono programmate per aiutare Erdogan a consolidare i poteri presidenziali nella sua campagna di voto nazionale del mese prossimo, e, sarebbe meglio se i governi europei semplicemente lo ignorassero; anche se lui sa che non possono. Il primo ministro olandese Mark Rutte ha dovuto battere Wilders, così, aiutando sia se stesso che il sagace Turk, ha spinto indietro Erdogan. Ora, il Cancelliere Angela Merkel di Democrazia Cristiana, non può permettersi d’essere vista come una molle con Erdogan.
Una volta che sarà finito il teatro politico, però, Erdogan non sarà più preoccupato di vedere i turchi come “il futuro dell’Europa”. Dovrà riprendere il dialogo per un regime di esenzione dal visto per i turchi in Europa e preoccuparsi delle relazioni economiche: l’UE è di gran lunga il primo partner commerciale della Turchia. Gli stereotipi stile Eurabia torneranno verso il polveroso armadio – ma i nazionalisti europei, come prova delle loro teorie del complotto, citeranno per gli anni a venire le osservazioni di Erdogan.

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