La Crimea organizza le politiche russe

Nel 2014, Vladimir Putin era fuori forma: il suo indice di gradimento, da quando nel 2011, dopo quattro anni che aveva servito come primo ministro, era tornato al Cremlino, aveva perso il 20 per cento.
A Mosca, per le sue elezioni, erano scoppiate le più grandi manifestazioni di piazza a partire dagli anni 1990. Putin aveva “imposto” la sua nomina, ma anche così il suo rating aleggiava ancora intorno al 60 per cento – un minimo storico, ma soprattutto, inaccettabile.
La storia d’amore di Putin con la nazione russa sembrava giunta al capolinea. Il motivo era semplice: una parte significativa del pubblico era arrabbiata per la sua sua elezione a presidente del Paese. Il popolo pensava che la moderna Russia avesse archiviato l’attaccamento al concetto di leadership eterna, ed era rimasto amaramente deluso.

Putin sapeva di dover contrattaccare; e, nel marzo 2014, gli si è presentata davanti, come piano d’emergenza, l’opportunità d’annettere la Crimea. L’Ucraina non ha rovesciato il presidente filo-russo Viktor Yanukovich, non poteva accadere, è lui che è fuggito quando si è reso conto che i suoi avversari lo avevano smascherato; come pochi mesi prima, nessuno avrebbe potuto immaginare come orchestrare l’annessione, anche se il progetto era in cantiere da ben 5 anni.
Politicamente, l’annessione della Crimea è stata un grande rischio. Essa ha portato all’isolamento della Russia sulla scena mondiale e ha trasformato il presidente in un paria. La Russia è stata espulsa del G8. Le sanzioni imposte dall’Occidente stanno facendo molto male all’economia del paese, e la maggior parte delle nazioni del mondo, hanno rifiutato di riconoscere la Crimea come parte della Russia, escluse la Nord Corea, la Siria, il Sudan e il Venezuela.
In tutto il mondo, le azioni di Mosca sono state considerate come una pura aggressività, e rappresentano la prima crisi armata in terra straniera in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale.
Ma il presidente russo ha certamente un istinto di sopravvivenza. L’annessione della Crimea gli ha risolto i problemi di fiducia che dal 2011 aveva sperimentato con il pubblico nazionale: il suo indice di gradimento è salito alle stelle, e dalla primavera del 2014, si è stabilizzato ad una media di circa l’80 per cento.
Ma, cosa più importante, Putin ha ottenuto i punti per assicurarsi la sua presa sul potere. L’annessione della Crimea ha messo profonde radici nella coscienza nazionale russa. Il “ritorno della Crimea”, secondo il sondaggista indipendente Levada Center, ora è considerato come uno dei più grandi successi della nazione, secondo solo alla vittoria sovietica sui nazisti.
Il “consenso sulla Crimea” va al di là degli interessi razionali. I russi sono consapevoli del fatto che stanno soffrendo finanziariamente, ma sono disposti a stringere la cinghia. Tre anni dopo il fatidico evento, secondo il sondaggista VTsIOM, i russi sono più certi che mai che la nazione ha beneficiato del “ritorno della Crimea”. Vige una significativa opposizione solo nei grandi centri urbani di Mosca e San Pietroburgo, dove circa il 20 per cento disapprova l’annessione.
Ci sono chiare ragioni per le quali il pubblico russo vede positivamente la “operazione Crimea”. Essa segna lo sviluppo storico del “ritorno”, la fine della lunga e traumatica trasformazione post-sovietica. L’annessione ha portato alla fine il progetto di una Russia democratica, lanciato nel 1991 da Boris Eltsin.
Tre anni dopo, questo concetto è ancora più evidente. Per i russi, l’annessione non è semplicemente la prova che la “Crimea è nostra”, spiega Alexei Levinson del Levada Center, “ma è la prova visibile che la Russia ha ripristinato il suo status di superpotenza”. La Crimea ora significa che la Russia, alla pari degli Stati Uniti, è ancora una volta un attore globale – proprio come si poneva l’URSS 30 anni fa.
Questa narrazione di “ripristinare” è stato il tarlo degli ultimi 25 anni della storia politica russa. Ora è stato polimerizzato.
“Per i russi, l’annessione della Crimea li ha guariti dal trauma della disgregazione dell’impero sovietico, meglio descritto da Putin come “la più grande catastrofe geopolitica del 20° secolo – riporta Levinson – Ora, l’ordine mondiale è tornato alla normalità”. Agli occhi russi, questo ordine assomiglia alla guerra fredda: due superpotenze globali che modellano il mondo.

Il ripristinato orgoglio nazionale però, non può fare esclusivamente affidamento sui risultati simbolici del recente passato, e dal momento che la Russia è ancora una volta un attore globale, ora deve agire sulla scena mondiale. Vladimir Putin è salito su un rullo. Non solo sta pagando il “giochetto della Crimea”, ma lo status di superpotenza è stato anche confermato e sigillato dalla inaspettata vittoria di Donald Trump nelle elezioni presidenziali degli Stati Uniti. Con un leader come quello che si è seduto nella Casa Bianca, Putin, ora si sente “l’imperatore del mondo, e la sua rielezione nel prossimo marzo 2018, avrà un significato globale”, afferma Gleb Pavlovsky, un analista politico. La voce russa negli affari globali ora è diventata molto forte e deve per forza essere ascoltata.
Per Putin e la sua nuova Russia, il tempo dell’avventurismo politico è passato; ma il tempo della politica militare e dell’espansione sono appena iniziati. Ora, la Russia pensa d’essersi reincarnata, e agirà di conseguenza.

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