Medio Oriente: i continui intrighi di Mosca

Negli uffici di governo a Washington, DC, il turbine degli scandali russi continua a diramarsi; ma a Mosca, l’impressione che sta gradualmente prendendo piede è che tra poco si sgonfieranno e che quindi sia arrivato il momento d’agire diplomaticamente con della “merce di scambio”.
Una questione molto urgente è forse lo scorretto comportamento nucleare della Corea del Nord; anche se la diplomazia russa per questa questione ha ben poco di cui lamentarsi, se non di sentirsi direttamente impegnata a protestare contro gli insignificanti test missilistici, sia di Pyongyang, che contro le implementazioni americane del sistema antimissile THAAD, in Corea del Sud. Gli Stati Uniti non tollerano più le seriali violazioni russe del trattato INF del 1988, situazione che sta provocando molta “delusione” nel ministero degli esteri russo.

Il Medio Oriente è l’unico settore in cui Mosca potrebbe essere in grado di proporre misure di cooperazione, ad esempio, come sconfiggere lo Stato islamico e sterminare le reti terroristiche internazionali, che sono all’apparenza il principale obiettivo estero di Washington; pertanto, nelle ultime due settimane, la Russia ha mobilitato ogni risorsa diplomatica e militare per cercare di rafforzare la propria visibilità nella regione.
L’intervento in Siria rimane lo strumento chiave della politica russa e, in aggiunta agli attacchi aerei, ora ha inviato anche degli “stivali sul terreno” – un battaglione para-militare ceceno ed una unità di sminamento.
Mercoledì 8 marzo, il capo di Stato Maggiore Generale russo, il generale dell’esercito Valery Gerasimov, ha diramato i dettagli pratici di come impostare la cooperazione con gli Stati Uniti. Gerasimov si è incontrato ad Adalia in Turchia, con il capo dello Stato Maggiore americano, il generale Joseph Dunford, ed il generale turco, Hulusi Akar. Mosca inoltre, ha mediato il trasferimento di diverse città, che erano sotto il controllo delle forze curde, sotto il comando dell’esercito siriano. Questo risponde bene all’obiettivo chiave degli Stati Uniti, che è quello di cacciare lo Stato Islamico da Raqqa, ma non sta bene alla Turchia. Venerdì, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, si è recato a Mosca.
La visita, è stata descritta dalla parte russa come “tanto attesa”, e celebrata con l’abrogazione del divieto di importazioni di broccoli e cipolle provenienti dalla Turchia. Erdogan, però, voleva di più, prima di tutto, cercava rassicurazioni che la Russia avrebbe trattato le unità di protezione curde (YPG) come una “organizzazione terroristica”, Putin, però, non era pronto per spingersi così lontano.
Un altro importante visitatore a Mosca della scorsa settimana, è stato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, il quale ha principalmente espresso il suo malumore derivato dall’inaccettabile rischio della presenza militare iraniana in Siria. Putin è desideroso d’avere un rapporto amichevole con Netanyahu, soprattutto considerando il personale rapporto di amicizia di quest’ultimo con Trump, anche se il presidente russo non si può permettersi di mettere a disagio la sua collaborazione con l’Iran.

Nella battaglia per Aleppo, le forze iraniane e Hezbollah hanno sostenuto il peso dei pesanti combattimenti, che sono stati fondamentali per garantire la sicurezza delle basi russe in Siria, forze che dovrebbero essere incrementate con armi e nuove truppe. Ci sono state delle difficoltà dal punto di vista dell’esecuzione, ma la visita programmata del presidente iraniano, Hassan Rouhani a Mosca, rimane in agenda.
Il grande piano russo è di riuscire a porsi quale mediatore di pace nel conflitto tra l’Iran e l’Arabia Saudita, anche se nessuno ha molta fiducia che la Russia possa motivare o addirittura possa consentire una benché minima possibilità di riconciliazione. Ci sono anche poche possibilità che Mosca, al fine di negoziare una de-escalation di questo conflitto, possa sfruttare i suoi vecchi legami in Yemen, anche se sembra che Mosca cerchi qualcosa in più. In effetti, vuole dimostrare la sua abilità pacificando tutta la regione, comprese le fazioni in guerra in Libia: il primo ministro libico Fayez al-Sarraj, è stato un altro ospite illustre di questa settimana a Mosca. Il Cremlino nutre molte speranze a Bengasi su Marshal Khalifa Belqasim Haftar, ma, quando le sue forze sono state attaccate dai gruppi armati affiliati ad al-Qaeda, non è stato in grado di fornirgli alcun supporto. Il problema della diplomazia russa è una mancanza di risorse materiali o di reali aiuti per riuscire a sostenerla.
Ciò, può essere visto anche in Siria dove, nelle zone ora controllate dalle forze del presidente Bashar al-Assad, la Russia non è in grado di fornire contributi per la ricostruzione post-conflitto. Finora Mosca dimostra solo una sua disponibilità a parlare con quasi tutti i partiti coinvolti nel conflitto.
Un problema ancora più profondo, è che nessuna manovra diplomatica è in grado di far aumentare il prezzo del petrolio, che è di fondamentale interesse per Mosca. Per molti mesi, i funzionari russi hanno portato avanti delicate conversazioni con l’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (OPEC), per riuscire a limitare in modo calcolato la produzione del petrolio per farne aumentare il prezzo, ma il gioco sta fallendo, perché, con il rallentamento economico cinese e l’aumento americano della produzione del petrolio nazionale, il cartello in un mercato saturo tende a diminuire.
Mosca, mentre si concentra sul Medio Oriente, sta cercando, sia d’incrementare le sue attività politiche per una potenziale cooperazione con gli Stati Uniti, così come sfruttare la debolezza della leadership americana nella regione.

Il limite russo nelle sue capacità di sviluppare forza è stato chiaramente dimostrato nell’intervento siriano. Nel frattempo, le recenti offensive delle forze di al-Assad non possono garantire quanto possa ancora tenere questo brutale regime, in quanto è completamente dipendente dal supporto militare russo e iraniano, che non è più così garantito. Per la Russia rimane difficile rattoppare la sua partnership con la Turchia; proprio perché, anche se Putin ed Erdogan potrebbero dimenticare le loro recenti invettive personali, la pietra d’inciampo rimane sempre la questione curda. La Russia sta anche cercando di migliorare i suoi legami con Israele, ma la “fratellanza” in armi con l’Iran non è a tutti simpatica.
Queste molteplici e sovrapposte confusioni di politica estera opportunistica della Russia, ne fanno un partner dubbio in ogni palo regionale, compreso l’Iran, e ne diminuiscono il valore come un possibile partner cooperativo degli Stati Uniti. Washington e Mosca capiscono probabilmente l’importanza d’assicurare un qualche riconoscimento alla Russia, che la costringono ad espandere le sue operazioni in Siria per prevenire errori di attacchi aerei russi contro le “impronte” degli alleati degli Stati Uniti; eppure, allo stesso tempo, è importante ricordare che la Russia, in Medio Oriente eccelle come piantagrane, e ciò rischia di bruciare l’opportunità di costruirci assieme un piano di pace.

Lascia un commento