Regimi colmi di bugie

Cosa crede di ottenere Donald Trump con la sua tempesta di “verità alternative’? Basta chiederlo a Josef Stalin.
Le azioni di Trump delineano alcuni tratti cari ad un suo alleato, Vladimir Putin, il quale impegna le bugie oltraggiose come strumento politico. Putin è il maestro della disinformazione e della non verità. Ad esempio, dopo che le truppe russe hanno invaso l’Ucraina nel 2014, il presidente russo ha sempre e semplicemente negato la loro presenza, rallentando e destabilizzando la risposta occidentale. Il dispiegamento di falsità del regime di Putin è parte del vecchio “gioco” sovietico. In particolare è stata una specialità di Josef Stalin, che ha proiettato un’immagine forte e la cui costante marea di bugie è stata per decenni il fulcro del regime comunista.
Trump deriva le falsità dalle sue esperienze capitaliste rosse dei venditori di fumo americani; anche se vale la pena compararlo con il regime russo di Stalin, soprattutto in considerazione della sorprendente penetrazione degli interessi russi nel regime americano.
Naturalmente, è iperbolico voler confrontare le bugie di Trump con quelle di Stalin, in quanto le differenze tra le due figure sono molte. (Per prima cosa, Stalin i suoi briefing di intelligence, li leggeva). Trump e alcuni dei suoi incaricati di governo sono abbagliati e sedotti dai russi, ma il loro interesse è chiaramente proiettato verso la cultura degli attuali oligarchi, piuttosto che verso la gente o i grigi funzionari sovietici addestrati da Putin. Tuttavia, vale la pena di fare un confronto tra questi due uomini prendendo in esame solo le loro dichiarazioni, nelle quali, come principio di controllo, hanno manifestato l’uso della menzogna. Mentre cerchiamo di sopravvivere al fango tossico della ridicola disinformazione che attualmente infesta la palude della politica mondiale, dovremmo contemporaneamente dare uno sguardo al passato per ricordarci sia della dilagante disonestà che vige ai più alti livelli di tutti i governi, come anche dei limiti ultimi della sua efficacia.

Una delle cose che desta più preoccupazione nelle falsità di Trump è la sua particolare dipendenza dalla teoria del complotto. La scelta a consigliere per la sicurezza nazionale del tenente generale Michael Flynn, ha reso una fiaba tutte le sue affermazioni, alle quali noi tutti come zombi avremmo dovuto credere. Quando il falso invade le più alte cariche del paese, costringe la popolazione a combattere due realtà kafkiane, due serie di memorie, due libri contabili e due verità. Questo, dal momento che ora le regole si applicano alla fantasia, soffoca chi vuole operare attraverso il quadro giuridico e secondo le regole: quindi per produrre un risultato reale diventa necessaria una complicata triangolazione strategica. Gli avversari devono continuamente lottare con dissonanza cognitiva.
Per fare un esempio: le purghe della fine degli anni ’30 di Stalin, sono state fondate su stravaganti teorie di cospirazione, in particolare, su un racconto di una “vasta rete anti-governativa” che era intenzionata ad un suo assassinio. Purtroppo, non esisteva nessuna rete che stava cospirando contro di lui. Tuttavia, in tutta l’Unione Sovietica con questo pretesto sono state arrestate circa 8 milioni di persone. In scantinati e luoghi malsani, essi sono stati torturati dalla polizia segreta e costretti ad ammettere crimini che non avevano mai commesso. La maggior parte sono stati condannati all’esilio o ai campi di lavoro a distanza; circa 1 milione sono stati fucilati.
Ciò che è importante per noi, non sono i numeri terribili. (Anche se, quando consideriamo le attuali posizioni geopolitiche della Russia, è importante ricordare la storia traumatica di quella società. I genitori e i nonni degli attuali leader hanno vissuto questa tragedia, e in loro ha lasciato un segno che ora incide su tutto il corpo elettorale e l’apparato di governo). In questo contesto, è importante notare che si possono facilmente trovare delle smentite, ma sono in grado solo di creare scompiglio. All’epoca ci si preoccupava poco della credibilità delle accuse dei servi di Stalin o delle bugie che le vittime della purga sono state costrette ad affermare nei tribunali davanti ai loro aguzzini. Anche nei famigerati processi farsa, destinati a comprovare al mondo la legittimità delle purghe, c’era pigrizia nelle invenzioni delle accuse del regime, rivelando in tal modo molta arroganza. Le “spie” imprigionate, ammettevano balbettando che i carcerieri li avevano nutriti, che erano andati all’estero per delle riunioni, per poi venire a scoprire che le piste di atterraggio degli aeroporti erano state chiuse da decenni, o che avevano dormito in certi hotel, che invece erano stati trasformati molti anni prima in centri di “rieducazione mentale”. Erano solo vite appese a bugie che potevano essere scoperte dopo un semplice controllo.
La prova non era credibile, ma era stata progettata per raccontare una buona storia, perché tutto serviva per convincere il pubblico che si operava in modo “corretto”. La maggior parte del pubblico è rimasto in silenzio, e, disorientato, semplicemente appendeva alle pareti le immagini dei funzionari del partito che erano stati liquidati. Le disgrazie dei morti però, sono state cancellate con le fotografie dei trionfi del partito. Il messaggio alla popolazione è stato chiaro: rivedi i tuoi ricordi, ora c’è un nuovo passato.
Lo slogan di Stalin di questo periodo di per sé è un miracolo di sfacciata menzogna: “La vita è sempre meglio, compagni! La vita è bella, con più siamo, meglio è!”
Quando le vittime delle purghe sentivano le accuse a loro attribuite, spesso mormoravano che era come essere in un sogno dal quale non riuscivano a svegliarsi. Hanno visto amici accusati di crimini assurdi e mostruosi. Naturalmente non era un sogno: sono stati costretti a manovrare in un vero e proprio sistema giuridico basato su false premesse. Essi hanno dovuto negoziare patteggiamenti in una situazione in cui la verità era specificamente inammissibile. Le loro vite trasudavano da una fessura frastagliata tra il corretto e il vero.
È importante ricordare: un regime può funzionare solo quando la popolazione non si oppone nemmeno davanti alla menzogna più sfacciata. Stalin aveva a disposizione una stampa nazionalizzata assolutamente prigioniera. Tutte le informazioni di stampa dovevano essere approvate dal partito, che polverizzava completamente il reale. C’era una battuta sovietica che raccoglieva due grandi giornali nazionali, Pravda (“verità”) e Izvestija (“News”): “Non c’è Verità in News, e non c’è nessuna News in Verità”.
È estremamente importante notare che tale situazione in America non c’è ancora, anche se Trump ha già minacciato di sopprimere la stampa. Nella misura in cui lui avesse un piano per realizzare un tale progetto, e a quanto pare agire limitando l’accesso ufficiale alle stesse conferenze stampa, e forse più potentemente, immergendo la stampa in estenuanti contenziosi finanziari, dovrebbe però battersi contro la rigida opposizione costituzionale. D’altra parte, seppur con una stampa “prigioniera” è difficile convincere migliaia di americani che le purghe di Stalin del 1930, erano solo regolari atti “giuridici”; così come non è stato necessario convincere i seguaci di Trump d’ignorare una stampa limitata. (Recentemente, ad esempio, più della metà degli elettori repubblicani hanno riferito ai sondaggisti che il presidente ha vinto con una “frana” di voti popolari, anche se ha avuto quasi 3 milioni di voti in meno di Clinton).
La Russia di Putin, nel frattempo, ha ancora una delle coorti di stampa più soffocate e sorvegliate del mondo. Il regime di Putin non si limita a utilizzare il cappio del capitalismo clientelare per acquistare e strangolare l’opposizione; c’è uno spaventoso alto tasso di mortalità tra i giornalisti russi, e sembra probabile che molti degli omicidi, colpi misteriosi alla testa, spontanee cadute da finestre chiuse, possano essere fatte risalire al regime. Trump ha difeso il suo amico Putin su questo aspetto, come su tanti altri. Quando gli è stato chiesto di condannare il probabile coinvolgimento di Putin nell’uccisione dei giornalisti, Trump essenzialmente ha scrollato le spalle: “anche il nostro paese né uccide un sacco”.
Un’altra strategia importante distruttiva della verità di Stalin è stato il capro espiatorio della competenza. Nel suo caso il leader sovietico ha concentrato le ire sui “specialisti borghesi” del paese. Il periodo del suo primo piano quinquennale (1928-1932), il suo disastroso programma di industrializzazione forzata e la collettivizzazione agricola, ha portato ad enormi fallimenti nel settore delle infrastrutture e della produttività, la colpa doveva essere rovesciata su qualcuno, e così il regime ha creato i “sabotatori”, spesso disegnati come gli scontenti industriali della classe media che, ora erano costretti a lavorare per le persone, e quindi mettevano degli ostacoli nelle loro attività. Coloro che fabbricavano il burro mettevano nel suo interno prodotti che procuravano malattie; i meteorologi sono stati eliminati perché segnalavano il tempo, ma non erano in grado di scongiurare la siccità; in molti casi, sono stati accusati di operare direttamente contro il regime per provocare la fame di massa e la devastazione. (Grazie alla distruzione metodica della verità, non sapremo mai il numero dei morti del primo piano quinquennale, le stime variano da 4 a 10 milioni, in generale con un assestamento su circa 6 milioni).
Ci sono tre elementi importanti da notare nelle lezioni della menzogna: in primo luogo, la tattica d’incolpare “un nemico” dei propri errori e crimini, per quanto risibile l’accusa possa essere, sono punti che Trump ha già intrapreso con notevole successo. Per esempio, la sua denuncia che è stata Hillary Clinton, e non lui, ad iniziare l’intera storiaccia del certificato di nascita di Barack Obama, è un’accusa palesemente falsa, eppure questo in un qualche modo non lo ha screditato. Stalin, ovviamente, era infinitamente più omicida e nefasto: l’assassinio del suo amico e rivale Kirov, che ha suscitato una massa di caccia alle streghe, fu quasi certamente organizzato da Stalin stesso. Ma la fusione delle colpe delle proprie azioni e degli errori dell’amministrazione Trump su un avversario, sarà una tattica che probabilmente verrà usata molto spesso nei prossimi anni.

Un secondo punto: Stalin ha presieduto l’industrializzazione del suo paese, l’aumento dei lavoratori nelle fabbriche; Trump, nonostante i suoi desideri, eliminerà i lavoratori umani dalle fabbriche. Si tratta di una prospettiva economica e culturale terrificante. Le vere sfide per i dipendenti sarà che si vedranno sostituiti con il lavoro robotizzato, ma ciò richiederà un abile pensiero economico, invece la risposta di Trump ha imputato la colpa alle regioni off-shore e agli immigrati, entrambe spiegazioni storicamente datate per le perdite di lavoro. Sulla base dell’esempio sovietico, ci si può aspettare che, quando la situazione diverrà più disperata, queste accuse diventino ancora più virulente. Mentre Trump armeggia che la transizione economica – si può supporre dei suoi avversari – sia dovuta alle “élite” di Washington e Main Street, queste verranno accusate di essere la causa di tutti i problemi.
Questo ci porta al terzo elemento: Trump, come Stalin, tende a tingere l’idea delle esperienze con un risentimento di classe. Il perenne percepito inganno delle “élite” è la scusa offerta per ignorare i consigli degli economisti, diplomatici, storici, scienziati, politologi, notizie mainstream, stranieri, e le 17 organizzazioni di sicurezza degli Stati Uniti, tra cui la CIA e l’FBI. Non dobbiamo dimenticare che il Trumpismo, nonostante la mitologia del contrario, in realtà affonda le sue radici nella classe media, i sostenitori di Trump che hanno consegnato le primarie repubblicane al miliardario sono stati quelli della bianca classe operaia rurale. Il suo gabinetto è farcito di membri ricchi dell’élite, anche se, in loro difesa, sono privi di competenze specifiche.
Qui si trova un altro importante parallelo: Stalin, quando era politicamente irritante, metteva da parte il fatto scientifico. In particolare, ha messo sotto attacco l’idea di evoluzione: la selezione naturale non corrisponde con la teoria comunista. Stalin, rifiutando tutte le prove contrarie, si è rivolto invece alle teorie pseudo scientifiche di Trofim Lysenko, un agronomo che, con un opportuno sfondo contadino, sosteneva che i tratti acquisiti, o appresi, venivano direttamente ereditati. Questo era palesemente falso, ma ciò non ha impedito al regime di Stalin di obbligare tutti gli scienziati, indipendentemente dal loro campo, ad accettarlo come una verità. Quando i genetisti hanno gridato allo scandalo, Lysenko li ha denunciati e Stalin, da parte sua, ha preso tutti gli scienziati che si opponevano al suo enunciato e li ha licenziati, arrestati, inviati nei campi di lavoro o uccisi. Di conseguenza, la scienza sovietica è stata bloccata per una generazione.
La lezione è chiara non solo per il rifiuto della scienza evoluzionistica, ma per il rifiuto della scienza nel clima di Trump – una bufala, lui sostiene, cucinata dal subdolo governo cinese – ma il mondo fisico non è turbato dalla menzogna umana; esso opera secondo i propri principi, a prescindere.
Questo dà un’idea dei costi che possono capitare quando la verità è inondata dalla menzogna. I paralleli sono utili, sia per capire la psicologia della menzogna nazionalizzata, che per intravedere uno scenario peggiore. Però, è importante che noi stessi prima di spaventarci ci ricordiamo della nostra storia. Trump sembra molto interessato al saccheggio cleptocratico, un modello di mal governo ben diverso da quello dell’omicidio di massa dello stalinismo. D’altra parte, è difficile calibrare con precisione un appropriato senso di disastro quando le promesse elettorali del presidente eletto (verità morbide) comprendono blocchi e incitamento alla violenza contro gli avversari, e per eccesso, abbassare milioni di americani sulla base dell’origine nazionale o religione. Nelle fila delle falsità, nessuno può dire ciò che prevede di fare Trump. La sua inaffidabilità, dai suoi seguaci umani che sostengono cose buone come false, è vista come un plus.
E, per chiudere questa discussione della tecnica russa e del nuovo stellato allievo americano, vorrei affermare che alla fine, Stalin era così sommerso nella menzogna narcisistica che gli è diventata controproducente; purtroppo però non è stata solo una sua sconfitta: decine di milioni hanno sofferto. Il paese è precipitato in basso e ha impoverito due generazioni. Non ha reso la Russia grande, qualunque cosa gli attuali apologeti di Stalin possano affermare. Ha presieduto una nazione che è stata economicamente paralizzata dalla sua ostinata ignoranza.
Il suo errore peggiore è che ha deciso di unirsi ad un ragazzo più cattivo, un bullo più luminoso, un bugiardo più bravo di lui. Nel 1939, il mondo era attonito quando Stalin ha forgiato il patto di non aggressione con Adolf Hitler. Ma nel 1941, Hitler è stato pronto ad invadere l’Unione Sovietica. Ha riunito la più grande forza d’invasione mai vista nella storia europea, piazzandola lungo tutto il confine sovietico. Mentre Hitler ha inviato gli aerei da ricognizione nello spazio aereo sovietico, i soldati dell’Armata Rossa hanno riportato il rombo dei loro carri armati dentro i loro confini. Ma Stalin credeva che ci fosse una specie di confraternita di bulli, un po’ di onore tra ladri, una sorta di rispetto reciproco, e che Hitler non avrebbe mai rotto il loro patto. Pensava di essere scaltro e prevedeva di sorprendere Hitler, magari rompendo lui stesso l’accordo dopo un paio d’anni.

Le forze di intelligence di Stalin lo hanno implorato di prestare attenzione alle segnalazioni di un incipiente attacco. Le spie hanno rischiato la vita per mandargli informazioni sui movimenti delle truppe e gli orari di invasione. Gli hanno persino mandato i dettagli per quanto riguarda il giorno e l’ora esatta. In risposta, Stalin scrisse: “Forse potete dire alla vostra “fonte” personale della forza aerea tedesca di andare a farsi fottere. Questa non è una “fonte” è una disinformazione”.
E così, nella notte del 21 giugno 1941, la Wehrmacht tedesca ha attraversato il confine sovietico senza trovare nessuna resistenza. Nel sentire le prime notizie della violenza, Stalin, illuso dal mito del suo potere della sua eminenza e saggezza, ha ordinato alle forze armate di ritirarsi fino a ulteriori chiarimenti. Egli continuava a strepitare che si trattasse di una provocazione degli ufficiali tedeschi canaglia: “Hitler a proposito di questo semplicemente non sa nulla”. Quello che ne seguì fu un massacro. In poche ore, la metà della forza aerea sovietica era stata distrutta, la maggior parte dei suoi aerei erano ancora a terra. In 10 giorni, la Russia era quasi stata sconfitta. Stalin, sull’orlo di un qualche tipo di “guasto mentale disperato” ha affermato: “Abbiamo preso tutto ciò che Lenin aveva messo in piedi, ma aveva trasformato tutto in merda”. Ci sono voluti anni e milioni di vite per riguadagnare il terreno perso in meno di due settimane.
Ora, come Putin saluta allegramente il nuovo regime americano e un nuovo amico alla Casa Bianca, dobbiamo ricordare questa storia.
Per i repubblicani è necessario “guardare oltre” e bloccare la “realtà” di Trump, ben sapendo che stanno giocando con un pazzo. La storia ci dice che fare affidamento sulla continua buona volontà di un vendicativo e di un amorale narcisista non è una grande strategia a lungo termine. Un leader che inganna i suoi stessi concittadini con le menzogne è profondamente pericoloso per la stabilità del paese e, data la portata americana, del globo. Il governo degli USA ha bisogno di essere in contatto con la realtà. Sono da dimenticare le tensioni etniche e religiose, i reali e irreversibili costi ambientali: anche gli interessi economici non saranno ben serviti se si gioca lontano dal mondo reale.
Come ha capito lo stesso Stalin, quando la verità se è andata, non c’è più stabilità, e nessuno è più al sicuro.

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