Un’Europa a due velocità: difficile da attuare

Il Consiglio europeo, che comprende i leader degli Stati membri dell’UE, alla fine di ogni sessione rilascia un documento di consenso; ma giovedì l’intento non è riuscito perché uno dei membri – il primo ministro polacco Beata Szydlo – si è rifiutato di sottoscriverlo. Il battibecco ci racconta qualcosa sul roccioso futuro di un’Europa a più velocità.
L’affronto di Szydlo non ha niente a che fare con il contenuto del documento: il governo nazionalista polacco ha cercato di opporsi alla rielezione dell’ex primo ministro polacco, Donald Tusk, a presidente del Consiglio europeo, ma le sue proteste sono state ignorate. Tusk, è da ricordare, è stato scelto a presidente dell’UE nel 2014, come forma di riconoscimento alla Polonia per il suo ruolo in Europa orientale e per la sua crescente immagine nel blocco.

Però, tra Tusk, il capo ideologo del corrente governo polacco e il suo leader informale Jaroslaw Kaczynski, non scorre buon sangue, tanto che la Polonia ha combattuto perché il presidente venisse rimosso ancora prima della sua naturale scadenza. Szydlo, ha dimostrato il suo disappunto, non ha firmato il comunicato e venerdì è arrivata in aula visibilmente in ritardo.
In realtà, la votazione ha mostrato che la Polonia non ha un diritto di veto e che l’UE, invece che un governo di uno Stato membro, non ha scrupoli a sostenere l’opposizione. Questo è un forte avvertimento, non solo per la Polonia, ma anche per l’Ungheria, dove c’è un altro dissidente illiberale dell’UE.
L’Europa per tutti gli scopi pratici, se i membri insistono nella loro scontrosità, potrebbe abolire la sua procedura di consenso e iniziare a prendere decisioni a maggioranza. In questa ottica nel blocco si potrebbe già intravedere un movimento a più velocità.
L’idea di un’Unione europea a più velocità, in cui le nazioni pongono il loro grado di progresso in una federazione rapportata al proprio ritmo, potrebbe essere considerata come una sorta di strumento di ricatto forzoso dei quattro grandi dell’Unione europea – Germania, Francia, Spagna e Italia – e gli altri 23 Stati membri dell’UE obbligati ad accettare la loro leadership. Ma se effettivamente una tale scelta dovesse diventare una politica ufficiale dell’UE, come potrebbe funzionare? Il vertice UE di questa settimana ci ha fornito alcuni indizi.
I leader dell’UE, che compongono il Consiglio, hanno discusso che cosa dovrebbero dire alla fine del mese quando si commemora il Trattato di Roma del 1957 che ha aperto il cammino verso l’Unione europea. Uno dei passaggi finali della bozza del documento può indipendentemente dare fastidio sia ai governi dell’Europa orientale, che a quelli Scandinavi:
“Lavoreremo insieme per promuovere il bene comune, fermo restando che alcuni di noi possono avvicinarsi ulteriormente e più velocemente ad alcuni livelli, tenendo la porta aperta a coloro che vogliono unirsi in seguito, e preservare l’integrità del mercato unico, la spazio Schengen e l’Unione europea nel suo complesso. Una unione indivisa e indivisibile, che agisce insieme, quando possibile, a ritmi e intensità diversi quando necessario”.
Il linguaggio sembra destinato a rassicurare che coloro che sono sul tracciato lento sono sempre parte della squadra. E nel “White Paper on the Future of Europe”, recentemente presentato dal presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, l’opzione a “più velocità” è stata illustrata con innocui esempi, come quando ha affermato, che “12 paesi dell’UE potrebbero decidere di armonizzare le regolamentazioni”. Ma questo è soprattutto un cappotto addolcito.

In realtà, un’Europa a più velocità probabilmente significa un nucleo di membri della zona euro che si muovono verso una unione fiscale. Non è chiaro quali stati potrebbero aderire al progetto, e se coloro che lo vogliono sono qualificati, ma lo sviluppo dovrebbe scatenare un campanello d’allarme a tutti i beneficiari netti dei fondi europei che non fanno parte della zona euro. Con un budget a due livelli, i contribuenti diverranno più propensi a mantenere la maggior parte dei loro soldi all’interno del primo livello, con una condivisione in un gruppo molto affiatato.
Il gruppo centrale, in teoria, probabilmente potrebbe arrivare ad un consenso su tutte le questioni, come ad esempio le frontiere, immigrazione, diritto del lavoro e anche le tasse. Inevitabilmente, l’UE diventerebbe una sorta di una organizzazione molto tedesca in cui una discussione precede qualsiasi decisione, ma non ci sono coccole per coloro che non sono d’accordo con la maggioranza. Questo è il tipo d’approccio di cui parla il candidato presidenziale francese, Emmanuel Macron, e lo sta spingendo nelle sue apparizioni durante la campagna. La settimana scorsa ha affermato:
“Se la zona euro non ha fatto progressi negli ultimi anni, è perché si vergogna di sé stessa, perché ha paura d’affrontare coloro che hanno preferito rimanere sul balcone o nella sala d’ingresso. Prendiamo il coraggio di andare a più velocità”.
Se la minaccia implicita è che il nucleo non si cura se uno rimane o se vuole lasciare l’UE, è difficile vedere come non dargli ragione. Tra i membri dell’euro non c’è consenso sulle politiche di bilancio; non sono nemmeno d’accordo sul progetto d’introdurre una singola tassa sulle transazioni finanziarie – una proposta presentata dalla Commissione europea ancora nel 2011. Le 11 nazioni che formavano il gruppo di lavoro sul prelievo proposto, è il potenziale nucleo di un’Europa a più velocità; ma nulla è progredito, e l’Estonia ha anche abbandonato il gruppo di lavoro.
Il peccato originale dell’UE è che non è riuscita a definire i propri obiettivi federalisti in termini specifici, e ha messo i benefici economici dell’Unione a disposizione di molti paesi che in cambio non avevano nessuna voglia di sacrificare una parte della loro sovranità. Ora, relegarli in una classe di Stato di secondo livello, è facile immaginare la loro reazione guardando quella della Polonia di questa settimana, quando è stata messa in minoranza. Da parte del gruppo dei membri più potenti economicamente dell’UE, ci vuole un determinazione federalista. Se qualcuno è messo da parte è perché si muove troppo lentamente, e il suo posto deve essere preso da un altro che è pronto a muoversi più velocemente.
In Germania, sia il cancelliere Angela Merkel che il suo principale rivale nelle prossime elezioni, il leader socialdemocratico Martin Schulz, sono suscettibili di dimostrare la determinazione necessaria per una più stretta unione; così Macron, se dovesse vincere la presidenza francese. Ma i leaders spagnoli, italiani, olandesi e belgi, dati i sistemi politici fratturati e la precarietà dei loro governi, non saranno così esaltati. In ogni caso, è quasi impossibile cominciare a creare un cerchio interno, un gruppo “ad alta velocità”, fino a che non saranno esaurite le elezioni di quest’anno.

Nel frattempo, proseguiranno i colloqui per architettare le varie configurazioni. Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo venerdì hanno invitato il gruppo Visegrad – Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca – per colloqui separati sul futuro dell’UE. I leader dei paesi del Benelux hanno anche in programma di incontrare i loro omologhi dei Paesi Baltici. Il primo ministro olandese Mark Rutte, che è dietro l’iniziativa, nella speranza che possa funzionare meglio delle sottili velate minacce di esclusione, vuole provare la sua tecnica olandese e costruire un consenso tradizionale.
Forse emergerà un nuovo consenso; o forse i membri europei e nordici orientali semplicemente creeranno dei propri piani di emergenza.
Questo non è un risultato molto bello per alcune delle nazioni che potrebbero far parte del nucleo dell’UE. Eppure, un progetto disordinato come quello delle multivelocità, presenta delle brutte alternative.

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