La falsa notizia corre veloce

Le “notizie false”, è il costante termine che imperversa nei dibattiti che coinvolgono i media. Da tempo si sapeva della quantità e della proliferazione di storie inventate esposte dai cosiddetti “imprenditori dei media”, che cercano di realizzare profitti con titoli appariscenti o con “siti di notizie” giorno-notte, in cui sfornano storie oltraggiose usate come esca per molti click. I russi – e prima i sovietici – per identificare questi meccanismi usano un termine diverso: dezinfomatsiya, che tradotto letteralmente sarebbe pari a, disinformazione. In Occidente si definisce come propaganda.
Negli anni della guerra fredda, la macchina della disinformazione sovietica ha prodotto e ha diffuso menzogne che miravano a danneggiare la reputazione degli Stati Uniti, sia come nazione che rappresentava valori e principi, che come paese da emulare. L’esempio più famoso è stato quello dei primi anni del 1980, in cui una campagna del KGB ha diffuso la disinformazione che accusava la CIA, come parte di un programma di armi biologiche, d’aver inventato il virus dell’AIDS. Mentre alla fine i sovietici, sotto la pressione degli Stati Uniti e come parte di un rapporto d’apertura nell’ambito dell’iniziativa “Glasnost” di Mikhail Gorbaciov, hanno messo da parte questa storia, il caso ha dimostrato come l’Unione Sovietica al momento intendesse la guerra delle informazioni: una “battaglia binario” tra il bene e il male, in cui ogni avversario cerca di dimostrare che l’altro rappresenta solo il male, in ogni sua forma.

Oggi però, nell’ambiente dei media le narrazioni binarie non funzionano più, e principalmente perché, dalla fine della guerra fredda, il panorama editoriale è profondamente cambiato in tre importanti modi. In primo luogo, è cambiata la maniera in cui vengono consumate le informazioni: gli individui si sintonizzano molto poco sui telegiornali serali. Piuttosto, vanno on-line, sulle piattaforme dei social media, o nei siti di opinione. Solo uno su cinque legge i giornali di notizie. Questo numero, secondo le più recenti indagini, è in continuo calo. Il Pew Research Center ha rilevato che mentre la maggior parte delle persone ricevono le notizie dalla televisione – 57 per cento – il numero si frantuma in modo non uniforme tra i gruppi di età: più della metà di tutti i giovani (18-29 anni) si basa sui social media e sulle fonti online, rispetto all’85 per cento della vecchia generazione (65 anni e oltre), che sono ancora in sintonia con la televisione. I giovani, ha messo in risalto l’indagine, sostengono che la televisione è sempre più dominata dalla politica di parte e dagli esperti, piuttosto che da “forti” giornalisti televisivi, ragion per cui non si sentono coinvolti.
In secondo luogo, on line ed in televisione ci sono molte fonti di notizie – o notizie false – e, in questo caso, manca un’educazione specifica verso i media, in quanto, non essendo parte di un programma di studio scolastico, pochi hanno le capacità critiche di discernere una propaganda da una notizia reale. RT, la rete televisiva sponsorizzata dallo stato russo, ha magistralmente usato a suo vantaggio questo handicap. Prima del 2009, RT si chiamava Russia Today, e allora le sue alleanze erano chiare; ora invece, reinventata come RT, viene ri-marchiata come un’organizzazione di notizie sovversive che spinge il pubblico a “mettere tutto in discussione” e induce le persone verso punti di vista diversi da quelli offerti dai mezzi di comunicazione tradizionali. Questa è stata una mossa intelligente.
Mentre pochi utenti guardano RT – l’agenzia è accusata di alterare notevolmente in eccesso i suoi numeri di audience – quelli che lo fanno o che entrano in sintonia con le sue trasmissioni su YouTube, probabilmente non sono a conoscenza che la rete è interamente finanziata e diretta dal governo russo. A differenza della BBC, che riceve i suoi finanziamenti da una tassa che i cittadini versano al governo britannico, il finanziamento a RT e la sua struttura di governance sono opachi. RT non è nemmeno una rete autonoma, un fatto che diventa rapidamente molto evidente quando qualcuno cerca di trovare una critica verso il governo russo. E, non è che manchino i motivi per fare delle critiche al Cremlino: stagnazione economica, la grave situazione delle città russe, l’aggressiva politica estera del Cremlino in Ucraina e in Siria. Lo slogan di RT “una domanda in più” non si applica al Cremlino!
RT però, è solo una parte della storia. I nuovi siti di “notizie”, che profumano di nomi con suoni legittimi, ma non sono comitati editoriali o non hanno le credenziali giornalistiche, pur di indirizzare verso un punto di vista alternativo un messaggio di un qualsiasi evento geopolitico di un “reporting”, crescono come i funghi dopo una tempesta: offuscano la realtà mescolando i fatti con la finzione e minando la stessa nozione di verità. Sui social media, i troll e i robot russi attaccano i critici, confondono la narrazione oggettiva e soffocano la ragione con il rumore e il caos. Pronti per dare sostegno al Cremlino, appaiono quotidianamente nuovi gruppi di riflessione, organizzazioni di ricerca con i nomi più vaghi, ma tutti senza una struttura di finanziamento trasparente o un segno riconoscibile di competenza. E, una volta che un seme, un meme, una bugia, o un qualche mix di verità e finzione è stato piantato, questo viaggia attraverso le piattaforme multimediali a velocità sorprendenti. Questa è la terza differenza, tra oggi e allora: la disinformazione si diffonde alla velocità della luce grazie alle nostre società altamente connesse.
Ciò che prima richiedeva mesi o anni di costante martellamento di uno stesso argomento su giornali e trasmissioni televisive, ora per trovare la sua strada in tutto il mondo ci impiega minuti o secondi.
A questo si aggiunge il fatto che, per ricevere le notizie, sempre più persone s’affidano alle loro connessioni sociali sui social media, producendo chiuse camere ad eco. Una volta che un seme è piantato in una tale rete, viene condiviso e pubblicato più volte. Questi reti chiuse funzionano come “amplificatori di disinformazione” di storie che vengono costantemente riconfermate fino a quando non se ne perdono le origini, producendone un’enorme diffusione.

E, una volta che una storia è diventata virale on-line, è solo una questione di tempo prima d’essere raccolta da una rete di notizie mainstream, che ormai, completamente priva delle sua fonte originaria, la segnala ai suoi giornalisti e redattori come un fatto reale. Questi da parte loro, costretti a lavorare con scadenze sempre più impossibili per tenere il passo con il ciclo delle notizie, pubblicano senza aspettare che siano stati effettuati i necessari e utili controlli.
Questo è il motivo per cui la disinformazione è più pericolosa ora di quanto non lo fosse durante la guerra fredda: una campagna di disinformazione di successo non è più definita da qualcuno che crede nella versione russa o in quella occidentale; ma piuttosto, da uno che non lascia traccia delle sue origini, uno che si dissolve nel mainstream come una goccia d’inchiostro dentro un mare d’acqua.

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