Solo delle fatalità?

Nessuno racconta quello che succede dentro le mura rosse del Cremlino: quelli che parlano non sanno, mentre coloro che sanno non parlano. Ma a Washington? Tra tutte le conversazioni che sono avvenute tra il team della campagna di Trump e il governo russo, ci può essere ancora una qualche spiegazione innocente? Ma oltretutto, il modo in cui il gruppo presidenziale sta di fatto accantonando gli addebiti, non lo rende più innocente; anzi, al contrario.
Tutto comincia da Trump stesso, lui ancora nel 2013 si vantava smodatamente di essere vicino al presidente russo Vladimir Putin, ora invece, sostiene di non avere nessun contatto a Mosca, o almeno – negando sfacciatamente – che sono almeno 10 anni che non fa neanche una telefonata in Russia.
Un dato: gli aiutanti del futuro presidente della piattaforma del partito repubblicano, l’estate scorsa si sono riuniti segretamente su un “tavolo degli amici della Russia”; ma solo a dicembre, dopo la nomina del presidente, hanno negato di non aver mai fatto una cosa del genere.

Poi c’è Michael Flynn, il primo consigliere per la sicurezza nazionale di Trump, che ha discusso delle sanzioni degli Stati Uniti con l’ambasciatore russo, e alla fine ha sostenuto che non è vero. Se Flynn avesse semplicemente finto con il pubblico, sarebbe ancora al suo posto; ma ha mentito al vicepresidente Pence, così è stato licenziato.
La scorsa settimana, è stato il momento di Jeff Sessions: “Non ho parlato con i russi”, ha riferito durante una sessione della commissione del Senato; tranne che lo ha fatto.
E c’è Jared Kushner, genero e consulente di Trump, che ha partecipato ad un incontro con l’ambasciatore di Mosca in America – un dato che la Casa Bianca ha trascurato di menzionare – o dimenticata? – fino a quando non è stato segnalato dalla rivista “New Yorker”.
Si può notare una strategia o un modello? Alle rivelazioni dei media, addobbate da tentativi che cercano di contraddire, seguono sempre false o fuorvianti smentite, a cui si accodano tweets arrabbiati del presidente che incolpano di tutto i mezzi di comunicazione, i democratici e le fughe di notizie.
Tutto questo trambusto però, non rappresenta una polemica che sobbolle e crea disturbo – in questo caso, il mistero del rapporto di Trump con la Russia – ma si trasforma in uno scandalo in piena regola.
Per definire un atteggiamento uno scandalo, dobbiamo prima considerare alcune domande di fondo: la passione di Trump per Putin è più di un semplice capriccio personale? Quando le agenzie di intelligence statunitensi hanno riferito che la Russia è immischiata nelle elezioni presidenziali, perché Trump ha attaccato la CIA e ha difeso Putin? Tutte le conversazioni con la Russia e le “chat innocenti sulla politica estera”, sono un’evidenza di collusione?
La cosa che colpisce, è che, non è la sostanza che fa scattare Trump e il suo entourage; ma è la loro incapacità a mantenere le loro storie su una retta linea.
Spesso si sostiene che, mettere un coperchio agli scandali – in special modo a Washington – è una cosa peggiore del crimine in se stesso. Questo però, non corrisponde alla verità. La ragione di un insabbiamento è che rende più facile scoprire che c’è un reato sottostante. Il tenere nascosto è come dire di voler farsi prendere. Basta a chiedere a Flynn. Con più spessa è la copertura più ampio e più vivo rimane lo scandalo.
Infatti, il presidente ed i suoi aiutanti hanno già spaccato tutte le regole di gestione di uno scandalo:
regola uno: quando c’è una cattiva notizia, risolvila in fretta, e falla uscire tutta in una volta;
regola due: non perdere tempo a dare spiegazioni – “Quando spieghi, perdi”;
regola tre: chiedere scusa e andare avanti. Gli elettori sono spesso disposti a perdonare un politico che fa un errore, ma solo se chiede loro perdono.

Le scuse, naturalmente, non sono nello “stile Trump”. Il suo riflesso naturale è quello di denunciare i media, dare la colpa ai suoi avversari politici e ricordare a tutti che lui ha vinto.
“L’intera narrazione è un modo per i democratici di salvarsi la faccia dopo che hanno perso un’elezione che tutti pensavano che avrebbero dovuto vincerla – ha twittato il presidente la scorsa settimana – La vera storia è legata a tutte le illegali fughe di notizie classificate e altre informazioni. Si tratta di una totale caccia alle streghe!”.
Questo tipo di spacconate hanno aiutato Trump durante la sua campagna, ma non è probabile che lo aiutino ora che è presidente. Egli, per evitare una analisi, non può nemmeno contare sul controllo del suo partito sul Congresso. Alcuni repubblicani al Senato, guidati da John McCain dell’Arizona, Lindsey Graham del South Carolina e Marco Rubio della Florida, sono abbastanza preoccupati della minaccia russa per la democrazia americana e insistono per una seria indagine.
La scorsa settimana, una serie dei principali repubblicani della Camera hanno chiesto pubblicamente che venissero ricusate le sessioni, tra cui Kevin McCarthy di Bakersfield, un membro di secondo rango della conferenza del partito repubblicano. (L’opera principale di McCarthy è di garantire che i repubblicani della Camera mantengano la loro maggioranza, tra cui più di due dozzine di membri in via di estinzione nei distretti in cui Trump aveva perso l’anno scorso).
Trump, attaccando pubblicamente l’FBI e la CIA, ha già alienato alcuni dei funzionari che stanno indagando le azioni russe come parte di una task force congiunta – praticamente si garantisce che qualcuno perderà se i loro risultati non vengono soppressi.
Ma mentre il sole cominciava a salire sopra la costa della Florida, sabato mattina, ha fatto qualcosa di straordinario, anche per i suoi standard. In una serie di tweet, ha accusato il suo predecessore, Barack Obama, d’aver intercettato la Trump Tower durante le elezioni.
“Terribile! Ho appena scoperto che Obama ha “sfruttato i miei fili” nella Trump Tower poco prima della vittoria. Non ha trovato nulla. Questo è McCarthysmo!”. E pochi minuti dopo: “È legale per un presidente in carica intercettare uno in corsa per la presidenza prima delle elezioni?”. Non si possono semplicemente liquidare questi tweets come deliri di un uomo arrabbiato perché ha una pelle sottile e vecchia. Per provare simpatia per Trump, bisogna ignorare i modi in cui funzionano le intercettazioni americane. E per prima cosa, non essere indifferenti al problema di fondo che eventualmente ha indotto il governo a mettere in piedi una intercettazione telefonica.
La maggior parte dei presidenti, fino al loro secondo mandato, non sono mai inciampati in uno scandalo in piena regola. Questo è stato vero per Richard M. Nixon, Ronald Reagan e Bill Clinton. Trump, però, è arrivato alla Casa Bianca con uno scandalo già osannato – e un record di consolidata di menzogna. Il suo disco, oltre al fatto che reagisce alle nuove rivelazioni in un modo che lo fa sembrare in colpa, gira continuamente ed è per questo motivo che questa storia non viene insabbiata.
Lui può avere tanta rabbia con i media, i democratici e chi racconta le fughe di notizie; ma alla fine è lui stesso che si sta caricando addosso tutte queste rogne.

Trump ha ragione solo su una cosa: “le elezioni sono sacre”. Questo è il motivo per cui francamente è scioccante che i repubblicani, dopo decenni nei quali hanno visto nella Russia “l’impero del male”, non siano sul piede di guerra per il fatto che il Cremlino ha interferito nella democrazia americana. Se credono davvero di mettere “l’America prima”, non dovrebbero essere loro stessi che da subito vogliono un’indagine aperta, oggettiva e completa in grado di rassicurare la nazione e tutti gli alleati che le decisioni vengono prese nell’interesse della Nazione?

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