Un mondo di dittatori

Gli uomini forti sono apparentemente ovunque. Il presidente russo Vladimir Putin è onnipresente: i media ci stanno ossessionando su tutto, dalle sue ultime azioni in Siria e Ucraina al suo improvviso e ricorrente rimpasto della sua cerchia più ristretta al Cremlino; nel frattempo, l’epurazione politica del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, a seguito di un fallito colpo di stato militare, ha vinto una sostenuta attenzione, e anche in Cina, un sistema che ha a lungo sottolineato una leadership collettiva, i media hanno soprannominato il presidente Xi Jinping, il “Presidente di tutto”, che riflette un suo accumulo di potere, maggiore di qualsiasi altro leader cinese da dopo Mao Zedong.
Da ogni singolo caso dittatoriale si possono ricavare moltissimi coloriti dettagli; ma facendo un attimo mente locale, è chiaro che è molto preoccupante dipingere questi esempi di regime altamente personalizzato, anche se stanno venendo alla ribalta nei sistemi politici di tutto il mondo. Al di là degli esempi più noti, ci sono oggi i leader dal Bangladesh all’Ecuador, Ungheria e Polonia che sembrano mostrare una crescente propensione per concentrare al vertice il potere politico; ma si tratta solo di una semplice percezione o di una realtà?
Si è una realtà. I dati mostrano che il personalismo è in aumento in tutto il mondo, e che la tendenza che si diffonde è molto pronunciata nelle impostazioni autoritarie. Le analisi documentano che i regimi personalistici, o dittature, o regimi in cui il potere è fortemente concentrato nelle mani di un singolo individuo, sono aumentati in particolare dalla fine della guerra fredda. Nel 1988, i regimi personalistici costituivano il 23 per cento di tutte le dittature, oggi invece, il 40 per cento di tutte le autocrazie sono governate da uomini forti.

Ferdinand Marcos
Da questi dati è facile supporre che tutte le dittature si adattino allo stampo forte. I vivaci aneddoti sugli infami ed eccentrici leader a partire dalla Libia di Muammar al-Gheddafi e lo Zaire di Joseph Mobutu, non fanno altro che rafforzare questa percezione; anche se in realtà si tratta di una situazione più sfumata. Dalla fine della seconda guerra mondiale, la maggior parte delle dittature non sono state dirette da uomini forti, ma da forti partiti politici, come il Partito della Rivoluzione Istituzionale (PRI) in Messico, o le giunte militari nella gran parte dell’America Latina negli anni 1970 e 1980. Dalla fine della guerra fredda, tuttavia, la politica autoritaria si è evoluta e le dittature personalistiche sono costantemente diventate la forma predominante di autoritarismo.
Questo è motivo di preoccupazione, perché l’aumento del personalismo significa la creazione di una serie di sfide agli interessi occidentali. Un robusto corpo di ricerche nelle scienze politiche dimostra che le dittature personalistiche tendono a produrre risultati peggiori di qualsiasi tipo di regime politico: esse sono inclini ad indire le più rischiose e aggressive politiche estere; esse sono molto propense a investire nelle armi nucleari; propendono a combattere guerre contro le democrazie e aspirano ad avviare conflitti interstatali. Come suggerisce l’avventurismo di Saddam Hussein in Iraq, di Idi Amin in Uganda e di Kim Jong nella Corea del Nord, una mancanza di responsabilità spesso si traduce in una capacità d’assumere dei rischi che gli altri sistemi dittatoriali semplicemente non potrebbero mai permettersi.
La Russia di oggi sottolinea il legame tra l’aumento personalistico e l’aggressività. Anche se le azioni di Putin in Crimea e in Siria sono state progettate per far avanzare una serie di obiettivi chiave russi, è anche probabile che, il fatto che Putin non ha vincoli nazionali, lui si sia assunto dei rischi che hanno superato il livello consentitogli. Lo stretto controllo di Putin sui mezzi di comunicazione, fa sì che il pubblico riceva solo la versione ufficiale degli eventi stranieri, ma ciò, oltre che essere in casa un indicatore di successo della politica estera di Putin, rende difficile ai russi l’accesso ad imparziali account per poter conoscere le realtà del resto del mondo. La cosa più importante però, è che l’eliminazione della competizione vocale dal paese, assicura a Putin una sua minima responsabilità per le sue azioni di politica estera.
La politica cinese mostra molte di queste stesse tendenze: la postura sempre più aggressiva di Xi nel Mar Cinese Meridionale si è manifestata da dopo che ha fatto sorgere una personalizzazione del sistema politico. Se lui dovesse consolidare ulteriormente il controllo limitando nel contempo la sua responsabilità, in particolare in materia di politica militare ed estera, lui potrebbe sentirsi libero d’intensificare ulteriormente la sua retorica e le azioni aggressive nel Mar Cinese Meridionale.
Non solo le dittature personalistiche perseguono aggressive politiche estere, ma loro sono anche spesso partner difficili e imprevedibili. La ricerca sottolinea che, grazie ai limitati vincoli nel processo decisionale, i capi personalistici in genere hanno l’abitudine di cambiare idee per capriccio e producono politiche volatili e irregolari. Inoltre, i leader come Putin, il presidente boliviano Evo Morales, e il presidente venezuelano Nicolás Maduro, sono tra gli autocrati che sono più sospettosi delle intenzioni occidentali, che percepiscono gli altri come un nemico esterno e che usano questa sensazione come un mezzo per aumentare il sostegno pubblico.
Infine, i regimi personalistici sono i più corrotti e hanno meno probabilità di democratizzazione. Le dittature di uomini forti, più di qualsiasi altro tipo di governo, per mantenere il potere dipendono dalla distribuzione degli incentivi finanziari. In quanto tali, questi leader sono i più propensi a sperperare gli aiuti stranieri: le Filippine di Ferdinand Marcos e Mobutu, per esempio, hanno sottratto denaro per circa 5 miliardi dollari mentre erano al potere. La loro propensione a smantellare le istituzioni e le persone competenti per paura di una minaccia alla loro potenza è un male anche per la democrazia. Invece di una transizione verso la democrazia, il crollo dei regimi personalistici tende a cedere il passo a nuove dittature (come nella Repubblica democratica del Congo post-Mobutu) o a stati falliti (come in Somalia).

Presidente dello Zaire – Mobutu Sese Seko
L’aumento delle turbolenze globali e le previsioni di insicurezza politica suggeriscono che il mondo, dati i livelli di violenza, disparità economica e crescente polarizzazione, sia destinato a diventare sempre più turbolento nel corso dei prossimi 10 o 20 anni, ma indicano inoltre una persistenza verso il personalismo. L’instabilità, se la maggior parte dei cittadini di tutto il mondo dovesse vedere nei leader forti la scelta migliore, potrebbe suscitare una diffusa reazione contro i valori democratici fondamentali, quali la libertà, l’espressione e lo sviluppo individuale. In realtà, la ricerca suggerisce che quando crescono i singoli timori di minacce esterne e di un cambiamento della società, parallelamente si sposta la preferenza verso leader forti e decisivi, che sono disposti ad usare la forza per mantenere l’ordine.
La regola del personalismo non è un fenomeno nuovo. Se non altro, è stata la norma per gran parte della storia, che va dai faraoni d’Egitto ai monarchi d’Europa. Anche se il secolo scorso aveva visto la diffusione di forme più collegiali di dittatura, dopo la fine della guerra fredda il personalismo sembra ora tornato con una vendetta. Ciò per l’Occidente definisce un grande pericolo. Non ci sono soluzioni facili ai problemi del personalismo; ma solo una migliore comprensione della crescente tendenza e delle sue implicazioni per la politica estera sulla quale il mondo occidentale sembra essere essenzialmente in ritardo.

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