La risposta del popolo russo alle elezioni

Domenica scorsa, il 18 settembre, i russi si sono recati alle urne per eleggere la settima Duma di Stato nella storia post-sovietica della loro Nazione. È estremamente difficile sostenere quante persone in realtà si siano recate alle urne, in quanto i dati ufficiali sulla partecipazione al voto sono distorti dalla diffusa e ben organizzata frode, che ha assicurato una fiduciosa vittoria al partito Russia Unita. I sondaggi pre-elettorali al contrario, avevano registrato un costante declino del sostegno popolare per questo pseudo-partito, che raccoglie in primo luogo tutta la burocrazia dirigente; in più, le indagini avevano anche rivelato che gli elettori hanno poca fiducia nel parlamento come istituzione statale. Le autorità in ogni caso, hanno investito poco sforzo per promuovere la popolarità del “loro” partito; ma hanno invece optato per rendere la campagna elettorale noiosa e a basso contenuto politico.
Dalla finta competizione è emerso alla grande il partito dei lealisti del presidente russo Vladimir Putin, Russia Unita, il quale ha ottenuto il record dei favori di tutte le tornate delle elezioni parlamentari russe, ma i numeri hanno anche dimostrato che l’alta popolarità del partito, e per estensione di Putin, sono essenzialmente falsi: l’affluenza è stata la più bassa nella storia delle elezioni federali russe.
Secondo i risultati, Russia Unita ha vinto 344 seggi dei 450 a disposizione nella Duma di Stato – camera bassa del parlamento – un grande miglioramento rispetto ai 238 che si era “guadagnato” nelle elezioni precedenti, nel 2011. Allo stesso tempo, ha perso a nord del paese, in numeri assoluti, 5 milioni di voti. Secondo la Commissione elettorale centrale, l’affluenza ha raggiunto il 47,8 per cento rispetto al 60,2 per cento delle ultime elezioni. A Mosca e San Pietroburgo, che ufficialmente rappresentano l’11,8 per cento del totale della popolazione, l’affluenza è stata ancora più bassa – meno del 30 per cento.

Questo è un cambiamento importante. Nel 2011, la schede alterate, assenti o doppiate avevano dato luogo a grandi proteste nel centro di Mosca, dove la classe media si era sentita truffata e presa in giro: le proteste non sono riuscite solo per l’avversione dei moscoviti al tipo di violenza che ha portato al cambiamento di regime in Ucraina nel 2014. Quest’anno però, non ci saranno manifestazioni e marce contro le falsificazioni; eppure la bassa affluenza alle urne ha in sé un forte messaggio: rimanendo lontani, la maggior parte dei russi ha dimostrato che non ha né amore né paura del regime di Putin.
Anche in Crimea, la penisola annessa dall’Ucraina nel 2014, hanno partecipato alle votazioni meno persone di quelle che hanno votato per il parlamento ucraino nel 2012.
La disunita opposizione liberale, sostenendo che ogni voto espresso contro il “partito del potere” fosse una sfida significativa contro le falsificazioni, mentre l’astensione giocasse nelle mani truffatori, ha cercato di sfruttare al massimo le limitate opportunità messe a disposizione dei suoi candidati. Gli oppositori di Putin, che hanno invitato i russi ad andare a votare per i partiti dell’opposizione sono rimasti costernati: i quattro partiti addomesticati – Russia Unita ufficialmente ha ricevuto il 54,28 per cento dei voti e le sue tre “suddivisioni”, i comunisti il 13,45 per cento, i Liberal Democratici il 13.24 per cento e Russia Giusta il 6,17 per cento – hanno vinto dei seggi; Yabloko, il migliore dei partiti anti-Putin, ha raccolto meno del 2 per cento, un valore che non gli consente di continuare a ricevere il finanziamento del governo, e tanto meno d’entrare in parlamento.
Sergei Parkhomenko, giornalista, editore ed attivista che aveva invitato gli avversari di Putin a votare per una qualche rappresentazione liberale, su Facebook è apparso infuriato:
“Questa Duma che non è stata scelta con una viva partecipazione ha ottenuto la maggioranza, pensate che abbiano votato con i piedi? No! In realtà avete votato con i vostri grossi sederi, quelli sui quali eravate seduti anche ieri!”.
Infatti, i partiti anti-Putin non hanno potuto far nulla per una moltitudine di ragioni. Si sono frammentati e hanno litigato per non aver trovato una strategia comune. Alcuni dei loro migliori candidati, come l’attivista anti-corruzione Alexei Navalny, e l’ex imprenditore di tecnologia Ilya Ponomaryov, non sono stati in grado di partecipare perché hanno ricevuto delle condanne per motivi politici o per accuse inventate. I potenziali “finanziatori” sono stati tutti, direttamente o indirettamente spaventati.
Il regime ora controlla – o ha la capacità di inghiottire – ogni mezzo di comunicazione. Inoltre, c’è stata una diffusa votazione doppia – spesso registrata anche nei video – e le stesse anomalie statistiche che si erano evidenziate a favore di Russia Unita anche nelle elezioni precedenti. Il fisico Sergei Shpilkin, che ha fatto questo tipo di analisi, ha scoperto che i risultati relativi all’affluenza alle urne per il partito di Russia Unita, non seguisse la normale distribuzione che hanno tutti gli altri partiti. Secondo Shpilkin, i vari imbrogli hanno aggiunto 14 punti percentuali al risultato di Russia Unita.
In breve, l’elezione non è stata né libera né giusta – e la maggioranza dei russi, sia che siano relativamente felici sotto Putin o fortemente contrari, sapevano che non sarebbe cambiato nulla: rimanendo via, hanno dimostrato una certa silenziosa riluttanza ad essere ingannati; ma principalmente, hanno confermato che sono stanchi di partecipare ai giochi di finta democrazia che propina il regime.
Putin si è sempre vantato del fatto che la sua forza fosse nel sostegno della maggioranza. La sua regola – o almeno quella che lui desidera – è tanto basata sull’amore verso di lui quanto sulla paura. I russi per lo più, sono stati inoltre obbligati a far diventare importanti i loro voti: nel 2006, il parlamento ha annullato le soglie di legittimità delle elezioni – il 20 per cento per la Duma, il 50 per cento per le schede elettorali presidenziali – sulla base del fatto che ogni volta si presentavano oltre il 50 per cento degli elettori. Ora che non è più così, e la legittimità del nuovo parlamento appare discutibile, il Cremlino sta cercando di girare le carte in tavola. L’addetto stampa di Putin, Dmitri Peskov, ha stabilito la linea ufficiale: “In effetti, un’affluenza più alta sarebbe stata gradita, ma i numeri di affluenza attuali non sminuiscono il significato che abbiamo ottenuto. Questi possono essere definiti bassi, ma si sa che nella stragrande maggioranza dei paesi europei le votazioni presentano dei valori di affluenza più bassi e ciò riflette la realtà della percentuale della popolazione politicamente attiva che prende tradizionalmente parte al processo elettorale”.
L’esercito dei troll del Cremlino ha iniziato a tambureggiare questo confronto sui social network, anche se è impreciso, perché in ogni grande paese europeo una partecipazione del 48 per cento in una elezione nazionale è sempre un valore considerato basso.

Il regime di Putin probabilmente, grazie all’apatia degli elettori, potrebbe essere OK, ma ci sono motivi per sospettare che si trovi di fronte ad una sorta di aggressività passiva: non si riesce ad intravedere un fine per la recessione o un limite per i furti delle gonfie forze dell’ordine contro le imprese e la popolazione in generale; circa un terzo dei russi crede che il paese sia diretto verso un vicolo cieco. La maggioranza costituzionale in Parlamento dà più potere a Putin per stringere le viti ed eliminare le rimanenti libertà, e lui probabilmente userà tutte le armi; ma difficilmente potrà avere la pace della mente quando un numero crescente di persone si dissocerà dal suo governo, dai suoi obiettivi e dalla sua pseudo-democrazia.
In una situazione di crescente insoddisfazione e senza canali legali per difendere i propri interessi, la popolazione sarà costretta a buttarsi per le strade. Naturalmente, le autorità hanno già capito questo, e si stanno preparando per reprimere qualsiasi avvisaglia, anche se ciò potrà solo ritardare, ma non impedire l’esplosione.
La nuova Duma sembra principalmente arrivata all’ultimo ballo sul palco prima del suo crollo. La natura delle elezioni controllate dai poteri forti, difficilmente è in grado di aiutare le autorità ad avere o imitare la vitalità necessaria per dare impulsi positivi; ma è invece suscettibile di produrre esattamente l’effetto opposto, come abbiamo già notato in simili eventi in altri paesi, dove le autorità che controllavano le elezioni hanno poi perso nelle strade il controllo del parlamento. Questo è quello che è successo di recente con la Verkhovna Rada in Ucraina, in Russia invece, anche se il Cremlino da tempo sta usando la forza e mantiene una patina sulla sua tanto decantata stabilità, le cose sono in movimento sotto la superficie.

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