Gli Stati Uniti rinunciano a difendere la Siria

Quattro giorni fa, il segretario di Stato americano John Kerry ha imposto un termine al presidente Bashar al-Assad per una transizione politica in Siria, mentre ad Aleppo, l’ultima roccaforte urbana dei ribelli contrari al regime, infuriano gli scontri. Gli Stati Uniti, tuttavia, siccome nella battaglia sono coinvolti anche ribelli che non seguono le direttive di Washington, non si sono esposti per un soccorso. In termini di porre fine alla guerra, l’inazione americana può essere peggiore dello scenario propagandato da Donald Trump – un’alleanza con la Russia per sconfiggere Stato islamico – ma politicamente è più accettabile.
Il gruppo precedentemente noto come Jabhat al-Nusra, alla fine di luglio ha tentato di ridipingersi come al Fatah al-Sham, prendendo apparentemente le distanze dalla sua organizzazione madre, al-Qaeda. Ora, questo gruppo, che sembra essere la forza trainante dei ribelli, sta cercando un disperato attacco per rompere l’assedio dell’esercito siriano attorno ad Aleppo, seppur d’improbabile riuscita: il supporto aereo russo, le forze del regime e i loro alleati iraniani e libanesi li stanno spingendo indietro e continuando il loro assedio, li tengono lontani dalla Turchia.

In ogni caso, da quando è fallito il colpo di stato, la Turchia sembra essere più in linea con la Russia, che con i ribelli. Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha intensificato la sua retorica anti-americana, e accusa gli Stati Uniti di complicità nel tentativo di golpe.
Da parte loro, gli Stati Uniti, non hanno comprato il nuovo brand al-Nusra e lo considerano ancora un gruppo terroristico. Ciò significa che non possono difenderlo. Nel mese di maggio, Kerry ha chiesto al regime di Assad di iniziare dal 1 agosto una transizione politica.
“O qualcosa accade in questi prossimi mesi, o dobbiamo aprire una pista molto diversa – ha sostenuto Kerry. Eppure la “pista” sembra essere esattamente la stessa di prima: Kerry ha suggerito solo che la Russia “e il regime di Assad si fermino da condurre operazioni offensive, così come è nostra responsabilità fare in modo che l’opposizione si astenga dal porre in essere tali azioni – suggerimento che entrambe le parti stanno ignorando! In assenza di supporto, la cosiddetta opposizione moderata comincia sempre più a fare affidamento sull’aiuto dei jihadisti.
Questa è una brutta situazione per gli Stati Uniti, ha sottolineato Michael O’Hanlon della Fondazione Brookings: “Gli Stati Uniti non hanno grossi alleati con reali potenzialità militari sul terreno, ad eccezione dei curdi. Eppure, stanno ancora sperando di sconfiggere contemporaneamente l’ISIS, il Fronte Nusra e sostituire Assad. Tale approccio semplicemente non ha senso”.
Gli Stati Uniti, tuttavia, non hanno una retromarcia: Kerry non può dire al presidente russo Vladimir Putin, che l’amministrazione Obama vuole sbarazzarsi di Assad. Putin è in una situazione simile in Ucraina orientale: anche se puntella le “Repubbliche Popolari”, che è un costoso e inutile esercizio, non può abbandonarle senza far apparire che sta cedendo alle richieste occidentali.
In Siria, Putin ha una mano più forte. A differenza degli Stati Uniti, lui ha il sostegno di una forza capace, che con il sostegno russo e iraniano potrebbe assumere gli insorti. L’opposizione, considerato che gli Stati Uniti sono solo in piedi di dietro e fermi, così come pure la Turchia; e Assad, Putin, Hezbollah e le forze iraniane la stanno andando a prendere, probabilmente ha perso la sua migliore occasione per negoziare una transizione politica. Putin ha mantenuto il conflitto siriano fin dall’inizio su un unico binario – una guerra tra il governo legittimo e un assortimento di gruppi terroristici. Ora sta per piegare la realtà a questa descrizione: se le forze di Assad prendono Aleppo, la guerra sarà essenzialmente tra la coalizione di Assad e lo Stato islamico. Per Putin, questa è da preferire piuttosto che una soluzione negoziata: la sconfitta dei gruppi di opposizione ad Aleppo renderebbe irrilevante la riluttanza americana di lasciare Assad al potere – non ci sarebbe alcuna alternativa.
Allo stesso tempo, non c’è molto incentivo per gli Stati Uniti per imbarcarsi in una “traccia diversa”. Nessuno avrebbe da guadagnare da un maggiore sostegno americano per un’opposizione in difficoltà – né gli Stati Uniti in sé, e nemmeno i suoi alleati europei in costante pericolo di nuove ondate di profughi: un intensificarsi dei combattimenti costringerebbe alla fuga un maggior numero di persone. Inoltre, il sostegno degli Stati Uniti per le milizie curde anti-Assad è ulteriormente teso per le difficili relazioni dell’America con la Turchia.
Gli Stati Uniti sembra che stiano consentendo ad Assad, Putin e ai generali iraniani di attuare il loro piano. Se riescono a prendere Aleppo, dovranno poi affrontare lo Stato islamico senza il sostegno degli Stati Uniti, e probabilmente, se non sono costretti a combattere su più fronti, potrebbero essere in grado di sconfiggere il gruppo del terrore.

Se gli americani si fossero uniti alla coalizione e avessero rinunciato alle alternative su Assad, ci sarebbe voluto meno tempo, ma, considerato che questo è politicamente impossibile, salvo una vittoria Trump alle votazioni presidenziali di novembre, la guerra andrà avanti e rivendicherà più vite – anche se è difficile capire come lo Stato islamico possa resistere a lungo ad un concentrato assalto russo-iraniano.
Se gli Stati Uniti dovessero permettere questo scenario, la loro credibilità di arbitro internazionale ne soffrirebbe inevitabilmente. Alla fine, potrebbero essere costretti a guardare da bordo campo mentre Assad ed Erdogan agiscono contro le milizie curde, che hanno ricevuto l’aperto sostegno americano, o essere costretti a guardare passivamente le rappresaglie di un vittorioso Assad come anche affrontare un gongolante potere di Putin.
Eppure l’inazione potrebbe essere la meno costosa delle opzioni – almeno non è necessaria nessuna spiegazione pubblica, e forse qualcun altro potrebbe assumersi l’onere di combattere.
L’America può solo sperare che le forze del regime in un qualche modo vengano sconfitte ad Aleppo; ma, a giudicare dagli eventi sul terreno, è un filo sottile per pensare di aggrapparcisi.

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